sabato 7 luglio 2012

Il futuro del dialetto e il futuro verbale

Torre di Babele di Pieter Bruegel

In questo articolo mi voglio discostare dai precendenti che parlavando di grafia e fonologia e affrontare un altro aspetto che caratterizza il dialetto cegliese.

Il nostro dialetto viene definito di transizione apulo-salentina in quanto si riscontrano nel lessico o nei costrutti caratteristiche asserenti sia al barese che al salentino.
In particolare i dialetti cosiddetti meridionali estremi di cui fanno parte oltre al salentino anche il siciliano e il calabrese hanno un construtto che si riscontra anche nel dialetto cegliese: l'assenza del tempo verbale futuro.

Il linguista (o meglio l'autore) siciliano Paolo Messina giustifica questa mancanza così:
<<Come si può interpretare (quasi filosoficamente) questa anomalia? Ecco lo spunto per un nesso fra lingua e cultura, modi di essere e di pensare. E’ la consapevolezza storica dell’esserci heideggeriano a produrre la riduzione continua del futuro a presente, all’hic et nunc, e ciò nel pieno possesso del passato ormai definitivamente acquisito.
I siciliani sono padroni del tempo o, per dirla con Tomasi di Lampedusa, sono Dei.
Ma essere (o ritenere di essere) padroni del tempo può voler dire dominare mentalmente la vita e la morte, avere la certezza della propria intangibilità solo nel presente, un presente che si appropria del tempo futuro per scongiurare la morte, ombra ineliminabile dell’esserci. Quello che conta è il presente. Essere e divenire, insomma, nell’ansia metafisica si fondono o si confondono.>>


 Questa come abbiamo detto è l'opinione di un poeta più che di uno studioso, ma è bello pensare che la lingua di un popolo sia così profondamente legata ai sentimenti di chi questa lingua la parla e la vive da modificarme i costrutti. Il futuro mancante come sentimento di vivere il presente e di scongiurare le avversità future ponendosi verso di esse con le certezze che le esperienze presenti e passate ci offrono.
Uscendo dalla rielaborazione poetica dell'assenza del futuro ci si pone il problema di esprimersi riguardo a situazioni future con la certezza che l'uditore capisca che sono azioni che devono ancora avvenire. La forma scelta per la resa del futuro è come abbiamo detto unanime nel contesto dei dialetti meridinali estremi e nel cegliese.
Ci sono due forme di futuro usate in maniera secondo me indifferente l'una dall'altra:
- Il verbo dovere coniugato al presente + il verbo all'infinito;
- Il verbo al presente accompagnato dall'avverbio di tempo.
Si ha cosi che per dire "domani andrò in campagna", si possono usare due modi per esprimere la frase:
- Aggji scì fore.
Cre voc fore.
Un'ultima considerazione sul futuro: Non avendo sotto mano testi in cegliese e affidandomi sono alla memoria credo che la versione più diffusa sia quella con dovere + infinito. (Suggeritemi le voste teorie sull'argomento e vedremo di discuterle insieme!)


Abbiamo visto come dialetti molto lontani come il siciliano e il cegliese possono avere tratti comuni che li caratterizzano e che dimostrano come questi due dialetti (grazie anche ad un continuum lingustico) si siano incontrati, mescolati e influenzati a vicenda permettendo che una lingua prevalesse a discapito dell'altra. Dimostrazione che bisogna sì tramandare il dialetto alle nuove generazioni, rendendosi conto però che il mondo si trasforma, le persone cambiano nelle abitudini quotidiane, nelle idee e nei costumi, il dialetto deve fare di continuo i conti coi tempi moderni, con termini tecnici e inglesizzazioni, deve poter accompagnare l’uomo nella sua quotidianità. Deve quindi adattarsi, attrezzarsi, espandersi poichè "la sopravvivenza di una lingua è legata alla capacità di adeguarsi al mondo che evolve". (cit. Lurati)

5 commenti:

  1. Interessante l'interpretazione sulla mancanza del tempo futuro!
    Però una cosa del genere la noto anche nel dialetto barese (che non è meridionale estremo): la stessa frase (domani andrò in campagna) si rende con una perifrasi, usando il verbo avere/dovere (Ji àgghie a vnì/scì fòre). L'unica differenza è la "a", che rende la traduzione "Io ho da andare" (tipo l'inglese, I've to go).

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  2. Dell'inglese ma anche del napoletano. Quindi è una caratteristica comune dei dialetti meridianali in generale... Buono a sapersi!

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  3. Anche il barese e tutti gli altri dialetti meridionali non usano il tempo futuro. Per la declinazione verbale il cegliese è più simile al dialetto barese che a quello salentino.

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  4. Oggi leggo di queste caratteristiche....mai pensate prima,...e mi viene spontaneo un sibillino accostamento con l'atavica situazione economica del mezzogiorno...che nella mancanza del tempo futuro gli antichi avessero visto la reale impossibilità di futuro?

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  5. L'assenza del futuro è una caratteristica anche del barese!
    Io che sono di Noci in provincia di Bari (dietro a Martina Franca praticamente per voi di Ceglie :D) non vedo molte differenze tra Nocese, Cegliese,Barese, Tarantino e Materano...cambiano soprattutto alcune vocali.
    Comunque a Noci si utilizzano due tipi di verbi avere...uno per indicare il possesso, cioé:
    Jì agghje
    Tu hjé
    Jédde / jidde jéve
    Nu avime
    Vu avite
    Lore jévene
    E uno utilizzato come ausiliare (per il dovere o il futuro) cioé:
    Jì hé
    Tu ha
    Jédde / jidde ho
    Nu ame
    Vu ate
    Lore onne

    Anche se per la prima persona vengono utilizzate entrambe le forme cioé " hé ", "agghje", e anche "ègghje".
    Per il resto non so, nel nocese rispetto al Barese, cegliese e tarantino scambiamo le "a" con le "e" come fa Lino Benfi per intenderci, e i verbi che in italiano finiscono in -are a noci finiscono in -é (tipo mangé, scarassé, ammaré cioé mangiare, aprire leggermente, socchiudere) mentre a Bari e Taranto terminano con una "à" accentata.

    Una cosa prettamente apulo-barese (come è corretto dire) cioé tutti i dialetti della Puglia centrale, sono la terminazioni della prima persona con il suono di "k". Es: Io vado - Jì voke, Io sparo- Jì spareke, Io vedo - Jì véshke/védeke, Io sto-Jì stoke, Io vinco- Jì véngeke, Io guardo- Jì teméndeke/treméndeke ecc...

    Poi una cosa che ci accomuna è l'uso dei pronomi dimostrativi "cusse, késse, kisse, cudde, kédde, kidde...

    Poi non so se da voi é così, ma a Noci i plurali si formano oltre che cambiando l'articolo, anche aggiungendo una "r" alla fine, e cambiano anke le vocali a volte, tipo:
    a kése(la casa) - i casere (le case)
    u wéte (sarebbero i varchi nei muretti a secco) - i watere
    u paréte (muretto a secco) - i parétere
    u fatte (il fatto) - i fattere ecc....

    :D



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